Artibus et Historiae no. 77 (XXXIX)
2018, ISSN 0391-9064Up
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LORENZO GNOCCHI - Carlo Del Bravo (1935–2017)
La luce d’oriente entra e si diffonde sul lungo piano di travertino della scrivania di Carlo Del Bravo, trasfigurando le morbide superfici dei vasi di alabastro, creati da un artigiano volterrano suo amico, che occupano una parte di quel piano, divenendo luoghi trasognati di riposi contemplativi per lo studioso che è sui libri e le carte fin dalle prime ore del mattino; quella luce continua il suo corso e lambisce, sui bassi scaffali con i libri più cari, sulla parete, su quel piano, le sculture ed i quadri più amati della sua collezione. Sono perlopiù volti e ritratti dall’antichità classica al XXI secolo, i cui occhi cercano quelli di Del Bravo assiso di fronte, oppure tendono all’alto come a chiamarlo a salire, così che la loro bellezza intesse un dialogo continuo tra le loro antiche umanità e quella dell’interlocutore moderno, un dialogo di reciproca «intesa».
Con questi incontri quotidiani Del Bravo sperimentava nella propria esistenza la concezione che aveva maturato dell’arte come bellezza frutto del pensiero dell’artista, inserito nelle possibilità filosofiche del suo tempo, e la cui comprensione è il fine cui tende lo studio, considerando le opere figurative come testi da leggere, nei quali le parole sono le figure rappresentate, animate e non, da comprendere secondo l’iconologia intesa in senso lato, e la sintassi è costituita dalla forma che l’artista ha dato alla sequenza narrativa guidata dalla mimica del volto e dal gesto delle figure: un testo che, assieme agli altri del corpus dell’artista, svela quella che definiva l’«iconologia generale», ovvero di questi il pensiero, storicisticamente compreso all’interno delle molte vie che esso prendeva sia nell’umanesimo e nelle sue estensioni fino al XVII secolo, sia nei tempi successivi fino alla contemporaneità; vie molteplici secondo i momenti della storia che dalla bellezza artistica son declinati fino ad assumere, di artista in artista, accenti molto individuali.
Su questa consapevolezza si fonda l’intera ricerca storico artistica che Carlo Del Bravo, nato a San Casciano val di Pesa il 16 luglio del 1935, ha svolto dalla metà degli anni settanta fino alla morte, a Firenze il 12 agosto del 2017; una ricerca condotta per saggi su moltissimi artisti fra il XV ed il XXI secolo, che sono delle vere sonde in profondità nei pensieri propri di ciascuno di essi, ed il cui insieme costituisce un poderoso fondamento per una storia, tramite l’arte, dell’identità moderna nel suo complesso divenire. Saggi che poi Del Bravo, allo scader di ogni decennio, ha raccolto nei tre volumi editi ed in un quarto – da lui solamente concepito, perché uscirà postumo –, i cui titoli sono una vera e propria dichiarazione sulla finalità della propria vita di studioso: dal primo libro, del 1985, nel quale Le risposte dell’arte sono quelle che ogni artista, storicisticamente ed individualmente, ha dato alle domande sul significato dell’essere uomo postegli dallo studioso; risposte che, nel secondo volume del 1997, spiegano come sempre sia stata indissolubile l’unione fra Bellezza e pensiero filosofico e letterario, quello del tempo storico e dell’artista, profondo e altrimenti nell’oggi sconosciuto, ma la riscoperta del quale, attraverso l’immediata comprensibilità della bellezza, porta alle radicali Intese sull’arte che egli riuscì a tessere, nel volume del 2008, sia interiori, con gli artisti del passato, sia con molti dei suoi tanti allievi; l’intesa fra chi riconosce de La bellezza, la sua pace, come avrebbe titolato la raccolta degli scritti degli ultimi nove anni: quella pace che ella offre a chi la contempla cercandovi le risposte alle grandi domande dell’uomo.
Questo amore verso i vari significati catartici e profondi celati nella bellezza dall’uomo creata, è in Del Bravo affiorata sin dall’inconsapevole stagione dell’infanzia e della prima giovinezza nel corso di estati trascorse nella casa nella proprietà paterna di Valle in Chianti, quando ammirava l’ordine di muretti a secco, di terrazzamenti a coltivazione promiscua, e comprendeva con quale eletta e colta sapienza i contadini creavano una meravigliosa armonica proporzione fra l’irregolare natura e la regola dell’uomo, senza che l’una prevaricasse l’altra; un lirico innamoramento per la bellezza, così nato ed espresso in giovanili poesie, che ha trovato esito nella Storia dell’arte, appresa alla scuola di Roberto Longhi col quale si è laureato nel 1959, seguendo quel metodo analogico fra la parola estetica e l’opera da studiare, da «conoscitore», per attribuirla e collocarla cronologicamente: è stata una disposizione critica che Del Bravo ha accolto come l’attesa colta risposta all’impulso poetico, e che fece propria negli studi degli anni sessanta, prima, con i saggi, fra gli altri, sul Vignali e sul Dolci, entrambi pubblicati su «Paragone» negli anni ’61 e ’62, su Mei e Manetti, «Pantheon» ’66, su Cristofano Allori, ’67, con i quali partecipava alla riscoperta dell’allora trascurato Seicento fiorentino e senese, animata soprattutto da Mina Gregori; poi, scoprendo l’arte accademica toscana del XIX secolo, che gli costò l’incomprensione del maestro Longhi, attraverso il cui studio comprese la sopravvivenza vitalissima della bellezza all’antica nelle opere degli Artisti toscani contemporanei di Ingres, mostra del ’68 al Gabinetto dei disegni e stampe degli Uffizi, come Bezzuoli, Ciseri, i Cassioli, Visconti, del Benvenuti, mostra del ’69, del Bezzuoli, del Franchi, ’72, di Bartolini e Sabatelli, e di tutti gli altri cui dedicò saggi veramente all’avanguardia, ma anche come questi artisti esprimessero formalmente la sostanza di una bellezza che si comprende solo seguendo i contemporanei dibattiti teorici su di essa: una scoperta, quest’ultima che lo indusse, dopo un biennale studio su La scultura senese del Quattrocento, titolo del libro edito nel 1970, a conclusione di una borsa presso i Tatti, a cercare nella letteratura e nelle diverse vie filosofiche del tempo degli artisti la chiave per comprenderne la bellezza sia della forma sia dei contenuti.
Inizia allora dalla metà degli anni settanta ad applicare un metodo che per quaranta anni arricchirà di nuovi strumenti di indagine, parallelamente studiando argomenti sia più recenti sia storici. Con i primi divenendo uno dei maggiori conoscitori ed estimatori dell’arte, otto e novecentesca, figurativa e di tradizione in Italia ed in Europa, oltreché profondo interprete delle ragioni umane e filosofico-culturali che la giustificano, e che sono antitetiche a quelle interpretate da quanti l’hanno contrastata allora, ed ora la «ostracizzano». In particolare, fra i molti contributi in questo campo, se ne possono ricordare due particolarmente pregnanti, come Sculture italiane 1920–1940, del 1981, col recupero di tanti importanti artisti dimenticati e delle ragioni culturali della loro arte, e Centenario, del 1993, sul dibattito teorico e sul suo riflesso negli artisti, anche poco noti, in Francia, fra realismo imperante nel IX decennio e suo superamento nel X dell’ottocento; ma è necessario anche ricordare le interpretazioni su gli amici artisti dei quali è stato committente. Mentre, con gli studi su argomenti dal XV al XVIII secolo, Del Bravo considera moltissimi artisti, grandi e meno, italiani e francesi, ai quali dà l’identità di un pensiero umano e filosofico considerandone l’«iconologia generale» e gli aspetti compositivi (e allora ricordo Scale di immaginazioni, del 1992, saggio col quale comprende come, nelle grandi decorazioni pittoriche o plastico-scultoree del Cinque e Seicento, la pittura o la scultura di diverse arti sovrapposte costituiscono dei gradi conoscitivi, che mutano fra artista ed artista), con un argomento in particolare amato, che è quello di Michelangelo al quale dedica considerazione profonde e metodologicamente assai stimolanti, in diversi scritti, fra i quali emergono: Breve commento alla volta Sistina, del 1996, Intorno al «Giudizio», del 2000, La bellezza dei «Duchi» in Michelangelo, del 2002.
Tutti i saggi di questa lunga ed intensa stagione, editi per lo più sulle due riviste su cui ha scritto – questa che ci ospita, e, dal 1989, «Artista, critica d’arte in Toscana», della quale fu fondatore e direttore con Carlo Sisi e Anna Maria Petrioli Tofani –, erano da Del Bravo accompagnati con foto da lui fatte scattare secondo i punti di vista e con i particolari ai quali lo studio lo aveva condotto – come in particolare dimostrano, sia il cataloghino, 1981, delle foto di sculture del Mochi, eseguite da Marcello Bertoni guidato dalla sua regia, sia le immagini scelte e tagliate da lui stesso per i contributi sulla rivista «Artista» –: essendo amante e grande conoscitore della fotografia che ha praticato anche con propri scatti di libera immaginazione.
Questa mole incessante di studio ha alimentato l’altro aspetto pregnante della personalità di Del Bravo: quella di docente, prima, dopo la laurea, presso il Magistero del glorioso Istituto d’Arte fiorentino, dove ha avuto per allievi e per colleghi quelli che sono diventati gli artisti delle sue committenze, poi all’Università di Firenze nelle Facoltà, di Architettura dal ’66 e dal ’69 di Lettere e Filosofia come docente di Storia dell’Arte moderna, ordinario dall’82 fino al pensionamento nel 2008, col titolo di Emerito. Insegnamento nel quale ha profuso gran parte delle proprie, molte, forze umane ed intellettuali, con grande severità, ma anche con affettuosa partecipazione, con straordinaria chiarezza e lessicale elezione, e privilegiando una didattica seminariale; instaurava così con gli allievi vere amicizie fondate sull’«intesa» dei valori dell’arte e della bellezza: i corsi presentavano ogni anno argomenti nuovi e metodologicamente formativi, e le «Lezioni di lettura e attribuzione di opere d’arte» dal XV al XXI secolo allargavano la conoscenza a quegli artisti che egli presentava in largo anticipo sui tempi della loro riscoperta, come, già dagli anni sessanta, i pittori scandinavi, gli «accademici» italiani ed europei dell’ottocento, le secessioni fotografiche, gli scultori figurativi fra le due guerre.
Del Bravo ha consacrato l’intera sua esistenza alla bellezza portatrice di grandi pensieri, ed ha rappresentato una vera luce, negli studi, nell’insegnamento, come nelle amicizie.